Il Trattato teologico-politico di Spinoza, tra libertà di pensiero e rispetto dell’Autorità

SpinozaIl trattato teologico-politico di Spinoza si colloca all’interno di un complesso panorama filosofico nel quale il punto di partenza è la condizione dell’uomo nello stato di natura. In tale stato anche per Spinoza l’uomo vive permanentemente sotto la minaccia di altri uomini, vivendo costantemente nella paura e nell’insicurezza. Ecco quindi l’esigenza di un’organizzazione statale, ma quali devono esserne le caratteristiche? Ad avviso di Spinoza <<il fine ultimo dell’organizzazione statuale non è quello di dominare gli uomini e neppure di frenarli con la paura o di farli cadere in balìa di altri, bensì di liberare ciascuno dalla paura, affinché, nei limiti del possibile, possa vivere in sicurezza e cioè serbare nel modo migliore il suo diritto naturale ad esistere e ad agire senza danno suo e di altri>>. Lo Stato, quindi, ad avviso di Spinoza non deve fondarsi sulla paura e né, tantomeno, sul senso di abbandono, e deve consentire all’uomo di vivere, nei limiti del possibile, in sicurezza. E’ giusto evidenziare come in Spinoza non si fa alcun riferimento alla rinuncia della libertà a favore della sicurezza, come per esempio accade in Hobbes, il teorizzatore del Leviatano. Lo Stato non deve trasformare i suoi sudditi né in bestie impegnate nella lotta per la sopravvivenza, né in automi conformi totalmente e a criticamente al sistema, il che non significa  invitare alla disobbedienza. E’ lo stesso Spinoza, infatti, ad indicare fino a che punto si possa esprimere il proprio dissenso nei confronti dello Stato, laddove scrive <<Se, al contrario, le sue obiezioni mirano ad accusare il magistrato di ingiustizia e a suscitare contro di lui l’odio del popolo, o se in modo sedizioso si adopera ad annullare quella legge contro la volontà del magistrato, allora è da vedersi in lui un provocatore di disordine e un ribelle>> e ancora <<nessuno può operare contro le deliberazioni dell’autorità sovrana senza intaccarne il diritto; ma gli sarà ben lecito avere sentimenti e opinioni propri e di conseguenza esternarli, purché si limiti semplicemente ad esporre e a insegnare sostenendo le proprie tesi con l’argomentazione e non con la frode, l’ira, l’odio e con l’intento di introdurre mutamenti nella cosa pubblica in forza della sua volontà>>. Il dissenso motivato ed espresso in maniera equilibrata, insomma, non soltanto è lecito, ma potrebbe anche essere fonte di mutamenti nella cosa pubblica, mutamenti che non devono essere cagionati in maniera violenta. Proprio per questo motivo, infatti, lo Stato deve far sì che <<usino liberamente la loro ragione, e che cessino, d’altra parte di contendere tra loro con l’odio, collera, inganni e comportarsi in modo ingiusto nei loro mutui rapporti. In una parola: il fine dell’organizzazione politica è la libertà>>. La libertà di pensiero e di espressione, nelle forme del rispetto reciproco e dell’autorità, insomma, è l’obiettivo dello Stato, posizione ben diversa, ad esempio, da quella di Hobbes che non vedeva altre soluzioni se non quella di una rinuncia alla propria libertà a favore della sicurezza. Anche Spinoza ammette la difficoltà di realizzare una pacifica convivenza tra gli uomini senza un punto di riferimento statale che detti le regole a tal punto da scrivere:<<Poiché i giudizi degli uomini, liberamente espressi, sono estremamente vari, poiché ciascun individuo si ritiene il solo a sapere tutto, e poiché infine non è possibile che tutti concordino nei pensieri e nelle parole, gli uomini non avrebbero avuto la possibilità di una vita pacifica se ciascuno non avesse rinunciato al diritto di agire in base alla propria privata decisione>>. E quindi cosa deve fare un uomo quando considera una legge irragionevole? La risposta è presto data con le seguenti parole: <<se sottopone le proprie opinioni al giudizio dell’autorità sovrana (alla quale soltanto compete di istruire o abrogare le leggi) e nel frattempo non compie atti contrari a ciò che quella legge prescrive, fa opera meritoria verso la comunità politica e si qualifica come il migliore dei cittadini>>. Qui la posizione di Spinoza appare molto simile a quella della Morale Provvisoria di Cartesio; Nella prima delle massime della morale provvisoria di Cartesio, infatti, si consiglia di <<obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese, serbando fede alla religione nella quale Dio ….>>. L’obbedienza alle leggi, quindi, sembra essere un dato di partenza comune tra Cartesio e Spinoza, sebbene in Spinoza, quest’obbedienza non appare cieca, ma lascia spazio ad una critica costruttiva e razionale che potrebbe anche dimostrare l’irragionevolezza di una legge, ma fino a quando l’Autorità preposta alla sua modifica non provvede a modificare o sostituire la legge sbagliata, si è comunque chiamati a obbedirvi. Spinoza, quindi, appare muoversi in un quadro che ondeggia tra rispetto e dissenso conditi da un palese invito all’atteggiamento critico.

       Cosimo Lamanna