Da “Dio è morto” ad “Hanno ucciso l’uomo ragno”

Dal tramonto dei valori assoluti alla ricerca di nuovi valori, passando per il mare dell’incertezza

Firenze Cimabue – Crocefissione

Hanno ucciso l’uomo ragno, Chi sia stato non si sa, Forse quelli della mala, forse la pubblicità …”: così cantava Max Pezzali nell’estate del 1992, divenendo il simbolo di una generazione. L’Uomo Ragno simboleggia la parte buona ed eroica dell’uomo e i valori positivi della società (i sogni, la giustizia, l’altruismo, la fantasia), uccisi dal mito del consumismo, dalle industrie, dai poteri economici e dalla pubblicità. Non è un caso dunque che la pubblicità, emblema per eccellenza del consumismo, venga connotata negativamente da Pezzali, tramite un accostamento con la malavita “forse quelli della mala, forse la pubblicità“. Negativa, ovviamente, è anche la visione dello sviluppo industriale, al punto tale che l’autore annovera tra i possibili mandanti dell’omicidio persino le innocue industrie per la lavorazione del caffè (“avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffè”). Ma prima dell’uomo ragno, era stato commesso un altro terribile omicidio, senz’altro più grave, forse la base stessa della ricerca sociale di eroi capaci di assicurare il trionfo del bene sul male. Cosa era successo? Nel 1882 era stato pubblicato un testo La Gaia Scienza[1], scritto dal filosofo di origini tedesche Friedrich Nietzsche, nel quale era possibile leggere uno strano annuncio che riferiva di un uomo folle che, con in mano una lanterna, si era recato al mercato alle prime luci del mattino gridando tra la folla: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. Ma l’uomo folle non si arrese: “dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio direSiamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo?”. Era il famoso annuncio della “morte di Dio”, cioè della presa d’atto da parte del filosofo tedesco della morale cristiana, della religione e di quel complesso sistema di valori sui quali fino ad allora si era basata tutta la civiltà occidentale, valori che persero il loro carattere assoluto, per scoprirsi in tutta la loro fragilità “umani, troppo umani”. Si aprivano così le porte del nichilismo che invase progressivamente tutta la civiltà europea, provocando anche un senso di smarrimento molto evidenti nello stesso aforisma 125, laddove ad esempio si legge: “Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte?”. Ciò che per secoli aveva rappresentato un punto fermo per l’uomo, improvvisamente veniva a mancare, lasciando un vuoto da colmare, ma come? “Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo”. La morte di Dio non è una semplice dichiarazione di ateismo, non vi sarebbe nulla di nuovo se così fosse, ma rappresenta il crollo di tutta la configurazione concettuale della realtà è della metafisica, gettando l’uomo in un cosmo tutt’altro che ordinato e finalistico, anzi, come aveva già affermato Schopenhauer, senza un senso e una direzione. E quindi, cosa resta da fare all’uomo? Che senso dare alle proprie azioni? E qui sta l’atto di nascita del superuomo, di cui la morte di Dio ne è proprio la condizione: la consapevolezza della morte di Dio, infatti, non comporta la perdita di senso delle azioni umane ma, anzi, apre davanti all’uomo infinite possibilità. Noi filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d’attesa – finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno – finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così “aperto”. (La gaia scienza). In questo mare aperto non vi è spazio nemmeno per i surrogati di Dio: lo Stato, la morale, la verità, la scienza, il socialismo che, come tali, sono destinati ad affondare. Quest’ospite inquietante, così definisce Nietzsche il nichilismo, che volto ha? L’assenza dei perché, dei fini, dei valori supremi, non può che lasciare l’uomo sgomento, annichilito oserei dire, nel constatare che i valori e i fini assoluti, derivati dalle metafisiche, non sono altro che una menzogna priva di riscontro nella realtà. Di fronte a questo è inevitabile la condizione si sconforto, ma questa diventa solo una tappa intermedia e passeggera tra l’iniziale illusione e l’effettiva comprensione. Ecco perché Nietzsche distingue tra nichilismo incompleto e completo. Il nichilismo incompleto è quello che si palesa per primo, e consiste nella crisi degli ideali e nello sconforto. Per superare questo stato d’animo si ha la creazione di surrogati, di nuovi idoli che svolgono una funzione analoga a quelli iniziali. Esempi di questo tipo di nichilismo sono molteplici: lo Stato, il nazionalismo, il socialismo, l’anarchismo, il positivismo, il naturalismo, ecc. Il nichilismo completo permette finalmente all’uomo di liberarsi dagli idoli da egli stesso creati e di rendersi libero. Esso è caratterizzato negativamente se si prende solamente atto dell’insussistenza dei valori crogiolandosi nel nulla (nichilismo passivo); viceversa è positivo se la sempre maggior potenza dello spirito è utilizzata come forza di distruzione (nichilismo attivo). Il nichilismo diventa “estremo” se annienta ogni rimanente credenza metafisica per proporre un sano relativismo: “non esiste affatto un mondo vero” (Frammenti, 1887-1888). Abbiamo cominciato con la musica e con la musica terminiamo: “E un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto, coi miti della razza Dio è morto, con gli odi di partito Dio è morto”: così in una canzone di Francesco Guccini cantata dai Nomadi. L’anno prima della pubblicazione della canzone, 1966, una copertina del TIME era dedicata a un movimento teologico americano conosciuto proprio come “Morte di Dio”. Tra i suoi esponenti c’era il rabbino Richard Rubenstein, noto per i suoi contributi sull’Olocausto. Per Rubenstein Dio è morto ad Auschwitz. Ma non è stato ucciso nei campi di concentramento: lì l’umanità ha solo compreso che l’assassinio era stato compiuto e si è svegliata.

Cosimo Lamanna

 

[1] F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125. In Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg. 213-214