Il lento cammino verso la deframmentazione dell’individuo

Il passaggio tra Ottocento e Novecento è segnato da numerose trasformazioni in ambito filosofico e scientifico che a volte assumono toni polemici rispetto a precedenti egemonie culturali, in altre occasioni, invece, provano a rielaborare istanze teoriche precedenti. Una suggestione duratura sulla cultura del Novecento, proviene senza dubbio dall’opera di Sigmund Freud, medico viennese e padre della psicoanalisi che, nata come pratica clinica per la cura della nevrosi, finisce per mettere in crisi l’immagine tradizionale dell’uomo, aprendo la porta sull’abisso dell’inconscio. Prima di Freud già filosofi come Schopenhauer e Nietzsche, avevano messo fortemente in discussione il paradigma dell’uomo animale razionale che aveva imperato nel panorama del pensiero occidentale sin dai tempi di Socrate. Schopenhauer con il Velo di Maya e la scoperta della Volontà come realtà noumenica, e Nietzsche con la Volontà di potenza e il dionisiaco, difatti, avevano aperto la finestra sulla dimensione irrazionale dell’individuo. Ora quanto asserito dai due filosofi, trovava la sponda di un medico, Freud appunto, destinato a scavare l’ennesimo solco nella storia del pensiero occidentale. Ma ecco cosa scrive il medico viennese nell’ Introduzione alla psicoanalisi: “Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé. la prima, quando apprese che la nostra terra non è il centro dell’universo, bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è difficilmente immaginabile. Questa scoperta è associata per noi al nome di Copernico, benché già la scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile. La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la scienza biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, gli mostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l’influsso di Charles Darwin, di Wallace e dei loro precursori, non senza la più violenta opposizione dei loro contemporanei”. Già con il passaggio dalla visione geocentrica dell’universo, di matrice aristotelico tolemaica, fulcro della scolastica e della visione del mondo medievale, l’uomo aveva perso la sua centralità e, come scriverà Pascal in uno dei suoi pensieri “la terra gli appaia come un punto in confronto dell’immenso giro che quell’astro descrive e si stupisca che questo immenso giro è anch’esso descritto dagli astri che ruotano nel firmamento”. Il pensiero umanistico rinascimentale avevano tentato di restituire all’uomo la sua posizione di privilegio rispetto al resto delle creature e in tale senso va letto anche quanto scrive di Pico della Mirandola nel De hominis dignitate, laddove sostiene che Dio avesse donato all’uomo una natura volutamente indeterminata e spetta all’uomo stesso scegliere se elevarsi al rango di angeli o diventare simili alle bestie. Il cogito ergo sum di Cartesio rappresenta l’apoteosi della centralità del soggetto, come realtà pensante e unica vera certezza. Con il darwinismo, tuttavia, questa differenza qualitativa tra gli uomini e gli altri animali viene meno e la teoria evoluzionistica non farà altro che collocare l’uomo nel pieno del mondo animale, un’animalità spesso celata ma sempre viva, quello spirito dionisiaco di cui parlerà Nietzsche, o quella volontà di sopravvivere di cui parlerà Schopenhauer. Il lento cammino verso la distruzione del narcisismo dell’uomo, come appunto afferma Freud, non era finito: “Ma la terza e più scottante mortificazione, – scrive – la megalomania dell’uomo è destinata a subirla da parte dell’odierna indagine psicologica, la quale ha l’intenzione di dimostrare all’io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche”. Ma già il filosofo francese Michel Montaigne aveva scritto “Quando sogniamo, la nostra anima vive, agisce, esercita tutte le sue facoltà, né più né meno di quando è sveglia; ma se le esercita più debolmente e oscuramente, non è certo di tanto che vi sia differenza come dalla notte a una luce viva; piuttosto come dalla notte all’ombra: là dorme, qui sonnecchia, più e meno. Sono sempre tenebre, e tenebre cimmerie.” Insomma che la luce nascondesse l’ombra era stato intuito, ma ora Freud lo dice chiaramente e lo dimostrerà con la sua articolata teoria della psiche, dando vita a un viaggio affascinante tra sogni, rimozioni, lapsus, atti mancati, io, es, super io, tutte parole che fanno irruzione con forza nel panorama inizialmente ostile di inizio 1900, che cerca in tutti i modi di resistere a quelle certezze che i maestri del sospetto e ben due guerre mondiali gli strapperanno irreversibilmente e, come scriverà, Luigi Pirandello l’individuo si troverà ad essere uno, nessuno e centomila.

Cosimo Lamanna