L’uomo è “schiavo” della Volontà

Ora, se la cosa in sé, come credo di aver sufficientemente provato e reso chiaro, è la Volontà, questa, considerata in quanto tale e isolata dal suo fenomeno, sta dunque fuori dal tempo e dallo spazio, e non conosce quindi alcuna pluralità: essa è una“. Si tratta di una citazione del filosofo tedesco A. Schopenhauer, tratta da Il mondo come volontà e rappresentazione, sicuramente la sua opera più nota. Il concetto sul quale è incentrata tutta la filosofia di Schopenhauer è quello di Volontà, un punto di approdo al quale il filosofo giunge dopo un attento approfondimento di fonti diverse, quali la filosofia platonica, Cartesio, i Veda indiani, ma anche opere del poeta italiano Leopardi. Il punto di partenza della sua filosofia, palesemente in antitesi con quella hegeliana, è il pensiero di Kant, in particolar modo la parte riguardante i concetti di fenomeno e di noumeno che Schopenhauer acquisisce, ma nel contempo cambia rispetto al filosofo di Königsberg, operando quello che può essere considerato un vero e proprio “tradimento” di Kant. Ma di che cosa si tratta? Mentre per Kant il fenomeno, vale a dire la realtà come appare all’individuo, è l’unica realtà conoscibile, mentre il noumeno, ovvero la realtà in sé, è un concetto limite e inconoscibile, per Schopenhauer il fenomeno diventa pura apparenza e illusione, il velo con il quale la dea Maya inganna gli uomini, mentre il noumeno è la vera realtà alla quale il soggetto può accedere non attraverso le categorie dell’intelletto, ma attraverso il proprio corpo, un fenomeno tra i fenomeni. Immaginiamo per un attimo di guardarci allo specchio, una delle cose che facciamo di consueto, senza pensarci, e di riflettere su quell’immagine riflessa, del tutto identica a noi. Ma possiamo dire, mentre ci specchiamo, che quell’immagine sono io? La risposta è no, perché quell’immagine è soltanto il nostro aspetto fenomenico, quello che gli altri conoscono di noi in quanto oggetto, ma a quell’immagine manca tutta la nostra interiorità, il noumeno, la realtà nascosta, quella che Schopenhauer chiama in una sola parola Volontà. Il filosofo squarcia il velo di Maya e accede alla realtà noumenica e scopre che questa è irrazionale, inconscia, eterna, senza scopo, che ci spinge a desiderare, senza limiti, senza fermarci. Il desiderio provoca dolore, il dolore viene superato quando il desiderio viene soddisfatto, ma la felicità dura poco e presto subentra la noia, fino al sorgere di un nuovo desiderio e così, condannato a questo eterno volere “l’individuo e come un pendolo che oscilla tra dolore e noia passando attraverso l’intervallo breve ed effimero del piacere”. Ma è possibile sottrarsi a questo stato esistenziale? Le vie di fuga sono tre secondo il filosofo di Danzica; l’arte, la compassione, o etica della pietà, e l’ascesi; Le prime due sono transitorie e momentanee, l’ultima definitiva, in quanto capace di trasformare la Volontà in Noluntas, vale a dire assenza totale di desiderio, ma alle vie di fuga dedicherò un altro breve scritto.

Cosimo Lamanna