Arte e bellezza tra mondo antico e Rinascimento

Tra il 1400 e il 1500 si affermano quei movimenti culturali noti come Umanesimo e Rinascimento. Volendo individuare le caratteristiche distintive dei due periodi, ferma restando la loro continuità temporale e ideale, possiamo dire che l’Umanesimo è un fenomeno tipicamente italiano, incentrato sulle humanae litterae e sulla riscoperta del classici greci e latini, mentre il Rinascimento è un fenomeno dal carattere europeo che riguarda diversi campi del sapere. L’atteggiamento è quello di un voler tornare radicalmente alla cultura classica latina e greca, cercando di dimenticare quella che era considerata la “tragica” parentesi del Medioevo. Anche in campo religioso si vuole tornare alle origini del cristianesimo, al Vangelo, alle fonti antiche: Lutero stesso, il padre della Riforma Protestante, é quindi assolutamente coerente con le teorie rinascimentali. Ma cosa vuol dire tornare alle origini? Gli umanisti non intendono semplicemente riagganciarsi alla cultura classica e basta, ma riprendere quella cultura per poter dare nuovi frutti. Giordano Bruno, uno dei filosofi più rappresentativi dell’ epoca, descriverà il Rinascimento come “una pianta amputata, ma non ancora morta; il tronco é ancora vivo e dopo secoli bui (quelli relativi al Medioevo) ricomincia a germogliare”. Politicamente l’Italia del ‘400 si presenta frantumata in numerosi Stati, soprattutto nel centro e nel nord della penisola, spesso governati da potenti famiglie aristocratiche. I papi e Roma e i signori delle principali città furono spesso veri e propri mecenati e promossero il grande sviluppo della cultura e delle arti. Questa nuova situazione portò a un rinnovamento culturale definito Rinascimento, che si manifestò nella prima fase con la riscoperta della centralità dell’uomo, ritenuto in grado, con le sue qualità morali e intellettuali, di spiegare e modificare la realtà. Rinascimento significa rinascita, reviviscenza, e l’idea di questa rinascita aveva cominciato a diffondersi in Italia fin dal tempo di Giotto (1267 circa –1337). A quel tempo, quando la gente voleva elogiare un poeta o un artista, diceva che la sua opera non era per nulla inferiore a quella degli antichi. Gli antichi, pertanto, rappresentavano un parametro determinante, un modello per il giudizio artistico. Di contro il Medioevo viene letto come una parentesi buia tra la grandezza dell’antichità e la Rinascita. In Italia il rinnovamento artistico partì dalla città di Firenze e il tale rinnovamento risultò decisivo proprio lo studio dell’arte classica. Furono molti gli artisti fiorentini che si recarono a Roma per studiare le statue e i monumenti antichi, ma non con l’intento di ricopiarle, bensì di reinterpretarle con uno spirito nuovo. Le regole dell’arte classica, come la ricerca dell’armonia, dell’equilibrio, della semplicità e della bellezza, vennero riprese dagli artisti del tempo che le ritenevano adatte ad esprimere i moderni contenuti rinascimentali, legati all’uomo e alla realtà. In questo contesto l’osservazione e l’imitazione della natura acquistarono una notevole importanza per gli artisti che cominciarono ad analizzare accuratamente il corpo umano e degli animali, le forme delle piante e le linee del paesaggio per riprodurli nelle loro opere. All’inizio del ‘400 Filippo Brunelleschi (scultore e architetto fiorentino) ideò la prospettiva lineare, un metodo scientifico che consentiva di rappresentare la profondità dello spazio sulla superficie del dipinto in modo simile alla visione del nostro occhio. La prospettiva permetteva di definire con precisione le proporzioni tra i vari elementi della scena e di rendere, quindi, più realistico il dipinto (vedi la Città Ideale). Il Doriforio di Policleto, ad esempio, prescriveva il rispetto delle seguenti proporzioni, i canoni (dal greco Kanòn, regola): la testa 1/8 del corpo, il tronco 3/8 e le gambe 4/8. Questo consente all’artista rinascimentale di evitare le evidenti sproporzionalità del romanico. La scultura è la miglior copia romana, ritrovata a Pompei, di un originale Doriforo bronzeo di età classica, eseguito da Policleto e databile intorno al 450 a.C. Per comprendere pienamente l’ideale estetico rinascimentale, così come il concetto di bellezza, è necessario fare un salto indietro nel tempo e precisamente nell’antica Grecia ove viene affrontato in più di una circostanza il tema della bellezza, ma quasi sempre lo troviamo associato ad altre qualità. Per esempio l’oracolo di Delfi alla domanda su cosa sia la bellezza risponde:  “il più giusto è il più bello”. Anche nel periodo aureo dell’arte greca, la bellezza è sempre associata ad altri valori, quali la misura e la convenienza anche perché, è bene ricordare che i greci, avevano una diffidenza più o meno manifesta nei confronti della poesia (e dell’arte in generale). Questa diffidenza raggiungerà la sua cifra con la condanna platonica dell’arte che, nel mito della Caverna, sarà collocata allegoricamente nel fondo della caverna, associandola alle ombre delle cose proiettate sui muri. L’arte e la poesia possono allietare lo sguardo o la mente, ma non sono in connessione diretta con la verità e come tali sono ingannevoli. Questa prospettiva originaria non può essere compresa appieno se si guarda alla bellezza nell’antica Grecia con gli occhi moderni, come spesso è accaduto nelle diverse epoche che hanno assunto come autentica e originale una rappresentazione “classica” della Bellezza che in realtà era fittizia, ovvero prodotta dalla proiezione sul passato di una visione moderna (si pensi, ad esempio, al classicismo di Winckelmann). La parola greca Kalon, peraltro, viene impropriamente tradotta con il termine bello, mentre significa esattamente “ciò che piace”, che suscita ammirazione, che attira lo sguardo. Il tema della Bellezza viene elaborato ulteriormente da Socrate e Platone. Della posizione socratica sappiamo qualcosa leggendo i Memorabilia di Senofonte, laddove Socrate avrebbe distinto tre forme di bellezza: la bellezza ideale:  che rappresenta la natura attraverso un montaggio delle parti; la bellezza spirituale: che esprime l’anima attraverso lo sguardo, la bellezza utile: quella funzionale. “Dio volendo rassomigliare al più bello e al compiutamente perfetto degli animali intellegibili – si legge nel Timeo – compose un solo animale visibile, che dentro di sé raccoglie tutti gli animali che gli sono  naturalmente affini… E il più bello dei legami è quello che faccia, per quanto è possibile, una cosa sola di sé e delle cose legate: ora la proporzione compie ciò in modo bellissimo”. Sempre a proposito dell’arte, Platone ribadisce che è una falsa copia dell’autentica bellezza e come tale è diseducativa per i giovani: meglio dunque bandirla dalla scuole, e sostituirla con la bellezza delle forme geometriche, basata sulla proporzione e su una concezione matematica dell’universo, idea di chiara derivazione pitagorica. Con Pitagora, infatti, nasce una visione estetico-matematica dell’universo: tutte le cose esistono poiché riflettono un ordine e sono ordinate perché in esse si realizzano leggi matematiche che sono, insieme, condizione di esistenza e di bellezza ( si pensi ala tetrakys pitagorica ove il punto centrale è equidistante dai punti che formano il triangolo equilatero). Questa concezione matematica del mondo la si ritroverà, appunto, nel Timeo di Platone. Tra Umanesimo e Rinascimento si assiste a un ritorno del platonismo: i corpi regolari platonici vengono studiati e celebrati appunto come modelli ideali da Leonardo, nel De prospectiva pingendi di Piero della Francesca, nel De Divina proportione di Luca Pacioli, nel Della simmetria dei corpi umani di Durer. La sezione aurea è adottata come principio del rettangolo armonico: si è riscontrato, infatti, che questo rapporto è anche principio di crescita di alcuni organismi ed è alla base di moltissime composizioni architettoniche e pittoriche. E’ considerato perfetto poiché potenzialmente riproducibile all’infinito. Ma l’atteggiamento degli studiosi del XV secolo, fatta salva la concezione della bellezza come proporzione, non si nutre solo di concetti platonici e pitagorici e la considerazione dell’arte e dell’artista è diversa rispetto a quella greca. Sotto l’effetto di fattori distinti ma convergenti, la scoperta della prospettiva in Italia, la diffusione di nuove tecniche pittoriche nelle Fiandre, l’influsso del neoplatonismo sulle arti liberali, il clima di misticismo promosso da Savonarola, la Bellezza viene concepita secondo un duplice orientamento: imitazione della natura secondo regole scientificamente accertate, ma nello stesso tempo contemplazione di un grado di perfezione sovrannaturale, non concepibile con la vista perché non compiutamente realizzato nel mondo sublunare. Quel mondo delle idee che secondo Platone era precluso all’arte, comincia lentamente ad aprire le sue porte. La conoscenza del mondo visibile, pertanto, diventa il mezzo necessario per la conoscenza di una realtà soprasensibile ordinata secondo regole logicamente coerenti. L’artista è, perciò, al tempo stesso imitatore della realtà, ma anche creatore della natura. La realtà imita la natura senza esserne semplice specchio e riproduce nel particolare la Bellezza del tutto (Vasari). Per tal motivo la figura dell’artista si stacca da quella del semplice artigiano per assumere quella dell’intellettuale vero e proprio in quanto capace di esprimere la bellezza sovrasensibile. Da umile, anonimo artigiano nel Medioevo, diventa nel Rinascimento l’espressione più alta della scintilla divina che è nell’uomo. Tale capacità gli era stata negata da Platone e restituitagli dall’imponente lavoro filosofico fatto a Firenze da Marsilio Ficino e dal movimento neoplatonico. In tale rinnova contesto culturale, si sottolinea l’importanza del disegno: è solo da questo momento in poi che gli artisti imparano realmente a disegnare e il disegno rappresenta la modalità con la quale l’artista esprime le proprie idee. Il disegno diventa l’arma più potente che si potesse immaginare: uno strumento che consentiva di creare di tutto: immagini, oggetti, spazi. Il disegno era, ora, non più una semplice tecnica di rappresentazione: era uno strumento di pensiero. Ma la scoperta del disegno, quale strumento progettuale, portò ad una conseguenza inedita: fu possibile, per l’artista, dividere il momento dell’ideazione da quello dell’esecuzione. L’artista ora poteva anche solo disegnare l’opera che intendeva realizzare, poiché la realizzazione della stessa non era necessariamente un suo compito, ma poteva anche essere affidata ad altri i quali, grazie ai disegni avuti, divenivano dei semplici esecutori materiali di quanto ideato dall’artista che assume una nuova dignità ed è distinto dal tecnico e dallo scienziato, sulla base del rinnovato platonismo (M. Ficino, G. Bruno). L’opera di G. Vasari, Vite dei più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani del 1550, attesta proprio questa nuova dignità della figura dell’artista che è consapevole delle regole che reggono ciascuna arte, ma nello stesso tempo rivendica un ambito di libertà rispetto a queste regole stesse, attraverso la teorizzazione dell’arte come via d’accesso autonoma all’idea (che non può più essere concepita come un’essenza trascendente, ma come la forma visibile e perfetta di ciascuna cosa, che proprio l’artista può cogliere e rappresentare con la forza della sua “immaginazione ideale”. Nel Medioevo, al contrario, l’arte rientra nel dominio della virtus operativa, l’artista è considerato un produttore di oggetti e all’arte non appartiene la categoria dell’espressione ma quelle dell’azione e produzione. Manca nell’Antichità e nel Medioevo la coscienza di ciò che può essere definito specificamente “artistico”. L’arte rinascimentale, dal punto di vista teorico, deve molto a  Plotino e al neoplatonismo, proprio in ragione dell’avvicinamento fra arte e bello: poiché il bello è una caratteristica essenziale del mondo delle idee, si rende necessario contemplare la bellezza del cosmo intelligibile e attuare quell’ascesi dell’anima verso il mondo delle idee. Nelle Enneadi, interpretando misticamente Platone, Plotino accentua quegli aspetti a sfondo estetico già presenti in Platone: quanto per l’uno tanto per l’altro, dopo la caduta, il ritorno è reso possibile dall’atto d’amore con cui l’uomo cerca di colmare tale mancanza: ciò che suscita l’amore è la visione della bellezza, quale manifestazione sensibile dell’intelligibile e dell’Uno nell’armonia delle cose. Marsilio Ficino e Giordano Bruno, dal canto loro,  riconosceranno all’arte un’autentica virtù creativa, un eroico furore divino e sovrumano. Marsilio Ficino nella Theologia platonica considera l’anima come copula mundi, ovvero collegamento tra il corpo e Dio, aspirazione a Dio attraverso l’amore che viene guidato in questo percorso proprio dalla bellezza Le fonti platoniche sono evidenti e stimolano un nuovo modo di intendere la libertà del genio nella sua funzione “creatrice” e non puramente mimetica. Il rapporto arte-mimési rappresenta il terzo asse portante della riflessione sull’arte tra Antichità e Rinascimento: Platone, nei Dialoghi, affronta in concetto di mimési con due diverse accezioni: come rievocazione dei riti e dei misteri del culto dionisiaco e come riproduzione della realtà, attraverso la scultura e le arti teatrali. Il termine mìmesis si affianca così a quello di arte come processo riproduttivo-fabrile: per questo suo carattere di mera riproduzione (copia di copie) P. condanna la mìmesis (e con essa l’arte). Aristotele, invece, nella Poetica, sottolinea l’inclinazione conoscitiva e edonistica dell’imitazione: il piacere, infatti, nasce non solo dal riconoscimento del modello attraverso la copia, ma anche dall’abilità tecnica, con la quale l’imitazione viene eseguita. L’attività imitativa, inoltre, non è mai per Aristotele una duplicazione puramente meccanica, ma consegue un’operazione razionale che procura piacere: l’imitazione, da mezzo espressivo, diventa fine dell’arte. Il concetto di imitazione, viene affrontato anche da Cicerone nel De oratore, ove sottolinea il carattere inventivo della mimèsi: l’oggetto della rappresentazione artistica non consiste nella mera copia dell’originale della natura, ma in un’immagine ideale, prodotta dalla mente dell’artista. L’imitazione è la libera rappresentazione di un modello ideale. Dalla condanna platonica della poesia come inganno si passa al giudizio di Tommaso Campanella che scrive “la poesia è lode a Dio ed è “mezzo per conoscerlo”.