L’attualità di Platone e del mito di Theuth

Risultati immagini per mito di theuthSono diversi gli spunti di attualità del pensiero di Platone, sicuramente uno dei più grandi filosofi della storia del pensiero occidentale. Trovo di particolare interesse l’approfondimento della problematica del rapporto tra oralità e scrittura contenuto nel “Fedro”, in particolar modo nel mito di Theuth (Fedro, 274 c-276) laddove Platone attraverso l’utilizzo del mito come porta aperta verso la verità, ma non ancora verità ben definita, cerca di dimostrare quali possano essere limiti e rischi della scrittura. Il mito, anche in questo caso, lungi dal voler essere una forma di regressione verso forme di conoscenza differenti da quella razionale (quella mitologia appunto), vuole essere una forma di stimolo per la ragione poiché lasciando intuire la verità senza dirla completamente, Platone intendeva stimolare le coscienze e lo sforzo razionale dei suoi discepoli e, nel nostro caso, lettori. Il dialogo in questione è quello tra Socrate e Fedro, giovane ammiratore dei sofisti. Socrate racconta di aver <<sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l’uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto>>. Il Re dell’intero paese, invece,  era un certo Thamus. <<Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli>>. Tra le arti inventate da Theuth vi era anche la scrittura (l’alfabeto) a proposito della quale il dio afferma: <<questa scienza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria>>. E il re rispose: <<O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno>>. <<E così ora tu – continua il sovrano – per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei [275 a] inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti>>. Alle parole di Socrate Fedro risponde:<<O Socrate, ti è facile inventare racconti egiziani e di qualunque altro paese ti piaccia! Socrate! Oh! ma i preti del tempio di Zeus a Dodona, mio caro, dicevano che le prime rivelazioni profetiche erano uscite da una quercia>> e Socrate: <<<alla gente di quei giorni, che non era sapiente come voi giovani, bastava nella loro ingenuità udire ciò che diceva “la quercia e la pietra”, purché dicesse il vero. Per te, invece, fa differenza chi è che parla e da qual paese viene: tu non ti accontenti di esaminare semplicemente se ciò che dice è vero o falso. E Fedro : <<fai bene a darmi addosso (a rimproverarmi) anch’io son del parere che riguardo l’alfabeto le cose stiano come dice il Tebano>>. Quindi l’attacco decisivo di Socrate (Platone) alla scrittura: <<dunque chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente la profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di più del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto>>. >E quindi passa all’enunciazione dei limiti della scrittura accomunata alla pittura e quindi inserita nella condanna platonica dell’arte: <<vedi, o Fedro, la scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l’intende tanto di chi non ci ha nulla a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso oltre ragione esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può difendersi né aiutarsi>>. E Fedro non può che ammettere che Socrate ha ragione. Questa conclusione dell’ateniese: << il discorso che è scritto con la scienza nell’anima di chi impara: questo può difendere se stesso, e sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere>>. Platone si dimostra straordinariamente attuale in questa sua analisi se lo si accosta all’opera di Gadamer “Verità e metodo” indica una contrapposizione tra i due concetti, sottendendo in particolare una critica nei confronti dell’ideale del metodo. Il problema dell’ermeneutica, della conoscenza, dell’interpretazione è profondamente sentito da Gadamer e se Dilthey o (il neokantismo) cercavano di rivendicare l’originalità delle scienze dello spirito rispetto alle scienze della natura, per Gadamer ciò ha comunque spesso comportato la trasposizione sul piano umano dei metodi delle scienze esatte. Verità e metodo si articola in tre parti: la prima è dedicata alla coscienza estetica, all’esperienza dell’arte, la seconda alle scienze storiche e dello spirito in generale e la terza al linguaggio e alla sua rilevanza ontologica. In quest’ultima parte si inserisce la polemica di Gadamer contro il procedimento dimostrativo, al quale egli oppone proprio il dialogo e la dialettica in senso platonico, come esercizio di domanda e risposta. Ma da dove nasce l’interpretazione? D’accordo con Gadamer possiamo dire  che l’interpretazione nasce proprio come intreccio di domande e risposte, attraverso l’interrogazione del testo da parte dell’interprete, ma quel testo, in fondo, nasce già da una domanda posta all’autore di quel testo, che lo precede e che deriva dal contesto in cui nasce. Il testo non può rispondere, il testo << ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto>>, in caso contrario il rischio di non cogliere quello che realmente l’autore aveva voluto dire è più che concreto. Ma Platone è ancora più deciso quando dice: <<sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere>>; La forza del dialogo orale risiede non solo nel fatto che l’autore delle affermazioni è presente nel momento in cui le sostiene, ma è anche in grado di valutare l’opportunità di dire qualcosa, giudicando il contesto del discorso. Se al tempo di Platone la diatriba era tra oralità e scrittura, oggi, nel mondo dei social, il problema appare amplificato in maniera esponenziale laddove le nostre affermazioni vengono messe alla mercé di chiunque, prive della loro anima, in assenza del loro autore, prive di sentimenti e relazioni, prova ne è l’invenzione dei cosiddetti “stati d’animo” da parte di Mark Zuckerberg, il creatore di face book, uno dei più potenti sociale dei giorni nostri. E allora la problematica platonica torna prepotentemente all’assalto laddove si legge <<se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di più del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto>> si è degli ingenui perché non è cultura quella del copia e incolla del sapere non proprio, non è cultura quell’automatica trasposizione di nozioni senza alcuna consapevolezza, terribile realtà ai giorni nostri laddove è facile con un click trovare le più belle e profonde delle massime, tanto per fare un esempio, copiarle, incollarle senza capirne il senso. Ma l’attualità di Platone si conferma nel suo straordinario atteggiamento critico, ponderato: pur mostrando i limiti della scrittura che, al pari della pittura, sprofonda in <<un maestoso silenzio>>, non può non fare i conti con le esigenze del suo tempo che vede sempre più forte la necessità di ricorrere allo scritto, così come noi non possiamo non tener conto delle esigenze del nostro tempo verso le quali non possiamo e non dobbiamo assumere un deletereo e anacronistico atteggiamento di chiusura. Così come Platone appoggia i suoi testi scritti su solide fondamenta culturali derivanti dalla cultura orale e dal dialogo, anche noi dobbiamo avvalerci di internet e dei social network, tanto per fare un esempio, solo e soltanto se siamo in grado di approcciarci a questi ultimi considerandoli degli strumenti che noi, possedendo delle solide basi di carattere culturale, adoperiamo per la nostra crescita e non come dei surrogati della realtà e della cultura, con il rischio di ampliare quella dicotomia di realtà al quale mi vien facile pensare con il mito della caverna contenuto della Repubblica di Platone.

Cosimo Lamanna