Heidegger e l’aver cura

Per M. Heidegger l’uomo è un ente (Esserci), individuo finito e irripetibile, progetto gettato nel mondo: è per sua natura progetto, essendo un ente caratterizzato in primo luogo dalla possibilità; è progetto finito che riceve significanza dal suo essere-per-la-morte.

Come ente, l’uomo sperimenta la differenza a due livelli. Nella «differenza ontologica» che lo oppone, nella sua finitezza e temporalità, all’essere. E, in quanto è nel mondo, nel suo essere così anche sempre con gli altri.

L’altro uomo (l’altro Esserci) è incontrato nel quadro dell’aver cura, che può dar luogo a possibilità diverse: dalla sottomissione dell’altro, all’aiuto dato all’altro a divenire libero e consapevole, capace di progettare sé stesso nel modo dell’autenticità.

I modi positivi dell’aver cura hanno due possibilità estreme. L’aver cura può in certo modo sollevare gli altri dalla «cura», sostituendosi loro nel prendersi cura, intromettendosi al loro posto. Questo aver cura assume, per conto dell’altro, il prendersi cura che gli appartiene in proprio. Gli altri risultano allora espulsi dal proprio posto, retrocessi, per ricevere, a cose fatte e da altri, già pronto e disponibile, ciò di cui si prendevano cura, risultandone del tutto sgravati. In questa forma di aver cura, gli altri possono essere trasformati in dipendenti e in dominati, anche se il predominio è tacito e dissimulato. Questo aver cura, come sostituzione degli altri nel prendersi «cura», condiziona largamente l’essere-assieme e riguarda per lo più il prendersi cura degli utilizzabili.