Henri Bergson, tempo interiore e tempo esteriore

Negli stessi anni in cui Einstein, dopo aver pubblicato 3 memorie con le quali rivoluzionava il mondo scientifico, in Francia veniva pubblicata un’opera filosofica, l'”Evoluzione creatrice” (1907), con la quale Henri Bergson, “rivoluzionò” il modo di concepire la realtà. Una delle teorie bergsoniane che fece più scalpore negli ambiti culturali di inizio ‘900, fu la distinzione fra tempo della scienza e tempo della vita.

Il tempo della scienza è reversibile (in quanto un esperimento può essere ripetuto un numero indefinito di volte) è qualcosa di astratto, esteriore e spazializzato ed è perciò costituito da istanti diversi solo quantitativamente. Per queste caratteristiche il tempo della scienza è un “concetto bastardo” perché a causa di esso gli uomini sono portati ad applicare un concetto di successione al tempo (giungendo ad una sorta di “spazializzazione” del tempo).

Il tempo della vita, al contrario, è irreversibile, composto da momenti irripetibili che possono essere solo ri-creati ma non ri-vissuti (infatti secondo il filosofo ogni ricerca del “tempo perduto” è destinata a fallire). Esso è qualcosa di concreto e di interiore ed è costituito da momenti non definiti che si compenetrano e si sommano tra di loro alla maniera di una valanga. Il tempo della vita si identifica, perciò, con il concetto di durata (la durée) ovvero una continua creazione nella quale ogni momento, sebbene sia il risultato di quelli precedenti, è completamente nuovo rispetto ad essi.

Se il tempo della scienza poteva essere paragonato ad una collana di perle dove tutti gli istanti sono separati uno dall’altro, il tempo della vita è paragonabile ad un gomitolo di lana che continuamente cresce e si riavvolge su sé stesso.

Bergson polemizza dunque con il concetto fisico-matematico di tempo, assunto dalle scienze esatte. Per Bergson questo tempo non è quello reale, vero, cioè non è il tempo astratto, una successione di istanti statici e uguali. Il tempo come fatto psichico ha invece caratteristiche qualitative, non quantitative.

La nostra coscienza vive il tempo come durata, perché gli atti che compongono uno nell’altro: in altre parole, l’atto presente porta in sé il processo da cui proviene e insieme è qualcosa di nuovo, che contribuirà a far scaturire nuovi atti, in una durata, appunto, senza interruzioni o salti.

Perciò, per Bergson, un ruolo importante nel conoscere viene esercitato dalla memoria. Essa conserva le nostre esperienze passate, ma in modo non statico, perché le fa continuamente interagire con gli stati di coscienza presenti.

La distinzione di Bergson tra tempo “interiore” e tempo “esteriore” ebbe un’enorme risonanza nell’ambito culturale (in particolare in quello letterario) e le sue considerazioni sulla coscienza furono riprese ed incluse nella concezione filosofica di William James. Egli ipotizzava il fluire dei pensieri “flusso di coscienza “(Stream of consciousness) come un fiume inarrestabile che scorre nella mente umana.

L’influenza su Marcel Proust

Marcel Proust, in gioventù aveva ascoltato le lezioni del filosofo Henri Bergson (1859-1941), la cui concezione del tempo come dimensione interiore lasciò una grande traccia nella cultura e nella letteratura di primo Novecento.

Tale riflessione riprendeva in realtà spunti antichi, presente già nel libro X delle Confessioni di sant’Agostino: secondo quest’ultimo il tempo è una realtà non oggettiva, ma solo soggettiva, una distensione dell’anima. Esso va misurato nell’interiorità dell’individuo, in base a ciò che si è impresso nella sua memoria: «il tempo – scrive Agostino – è memoria del passato, attenzione al presente e attesa del futuro». Queste idee esercitarono un notevole influsso sul romanzo novecentesco e su Proust in particolare.

Proust constata come il tempo disgreghi e muti ogni cosa: ci fa allontanare dal noi che siamo stati, al punto che neppure più ci riconosciamo. L’unico elemento che possiamo opporre a una simile dissoluzione è la memoria.  Non la memoria volontaria, però, attraverso cui noi ci sforziamo di ricostruire il passato, bensì quella involontaria. Essa opera per analogia, nel senso che una sensazione può richiamarne alla mente un’altra analoga, prodottasi nel passato; e non ci fa semplicemente ricordare il passato, ma ci permette di riviverlo, di recuperarlo nella sua pienezza e autenticità.

È un fenomeno di per sé non insolito (in qualche modo tutti lo abbiamo provato), ma che Proust rende, nella Recherche, uno strumento d’indagine privilegiato e sistematico.

In conclusione: il nostro tempo è vivo in noi; il mondo esteriore, in un certo senso, per Proust non esiste, perché rappresenta solo ciò che, in un certo momento, noi creiamo e che, subito dopo, muta con il nostro stato d’animo, sottoposto al fluire del tempo (avviato dall’accendersi della memoria).

«Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo, sembrava morto, anche se non lo era… »

Le Petites Madeleines

Celebre il caso della madeleine: «Una sera d’inverno, al mio ritorno a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea, mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati Petites Madeleines…»

Il fluire del tempo comporta che qualcosa prima era presente e ora non lo è più e che diventa appunto passato, dall’altro che questo passato sia in qualche modo mantenuto nel campo dell’esperienza attuale. Ciò vuol dire che tale esperienza passata viene comunque modificata. Infatti se tutto si conservasse integralmente, senza alterazioni, non avremmo affatto la temporalità, ma una stasi perfetta.

«Che cos’è dunque che le oscillazioni di un pendolo misurano? A rigore, si ammetterà che la durata interiore, percepita dalla coscienza, si confonde con l’incastrarsi dei fatti di coscienza gli uni negli altri, insieme all’arricchimento graduale dell’io; ma il tempo che l’astronomo introduce nelle sue formule, il tempo che i nostri orologi dividono in particelle uguali, quel tempo, si dirà, è un’altra cosa; è una grandezza misurabile, e di conseguenza omogenea»

La memoria si differenzia dal semplice ricordo, perché non si limita a rievocare qualcosa di passato, ma lo rende in qualche modo presente.

Cosimo Lamanna