I “ruggenti” anni ’20, luci e ombre

L’economia mondiale risentì pesantemente delle conseguenze della Grande Guerra. All’indomani della fine del conflitto il mondo, in particolar modo i paesi industrializzati, dovette fare i conti con fenomeni come l’inflazione e la svalutazione, dovuti all’eccessiva emissione di moneta durante il conflitto per finanziare lo sforzo bellico. Vi era, inoltre, un generale debito pubblico soprattutto verso gli USA. “I lampioni si stanno spegnendo su tutta l’Europa disse Edward Grey, Ministro degli Esteri della Gran Bretagna mentre osservava le luci di Whitehall la notte in cui il suo paese entrò in guerra contro la Germania nel 1914. Nel corso della nostra vita non le vedremo più accese”. All’indoma della Guerra l’Europa non era più la stessa.

I paesi industrializzati si trovarono di fronte alla necessità di una riconversione produttiva vale a dire adeguare l’apparato industriale dedito alla produzione bellica dirottandolo verso nuove forme di produzione. Il riadeguamento, oltre ad avere dei costi in termini di spesa, ebbe anche dei costi in termini di capitale umano, poiché durante il periodo necessario alla riconversione vi furono numerosi licenziamenti con il conseguente aumento della disoccupazione. Vi era, inoltre, la questione della smobilitazione degli eserciti con il conseguente reinserimento dei reduci che andarono ad ingrossare la sacca di malcontento dei disoccupati con conseguenti tensioni sociali.

La Prima Guerra Mondiale, inoltre, aveva stabilito una nuova gerarchia economica al cui vertice si trovavano gli Stati Uniti, che vantavano crediti da parte di tutti gli stati europei e nel contempo divennero polo di irradiazione dei più importanti fenomeni economici. “Il Novecento non è più un mondo eurocentrico.  – scrive Hobsbawm ne Il Secolo Breve – Il Novecento ha portato al declino e alla caduta dell’Europa. Le grandi potenze del 1914, tutte europee, sono scomparse, o si sono ridotte al rango di potenze regionali e provinciali”.

La guerra rappresentò, altresì, un acceleratore dello sviluppo, favorendo la concentrazione industriale, l’innovazione tecnologica e organizzativa e la produzione di massa. Tutti questi aspetti rappresentarono fattori positivi in campo civile favorendo la produzione di beni di consumo di massa che necessitava di una vera e propria organizzazione scientifica del lavoro. Il nuovo modello produttivo aveva necessità di mercati sempre più vasti ove far incrociare domanda e offerta e si rese necessario la disponibilità di prodotti a prezzi accessibili.

 

L’industriale Henry Ford fu tra i primi a capire che per accrescere i profitti era necessario abbattere i costi e che per abbattere i costi, essendo sconsigliabile una diminuzione dei salari, era necessaria una nuova organizzazione del lavoro finalizzata a “ottimizzare” il rapporto tra tecnologia e attività dell’uomo. Questa nuova organizzazione venne teorizzata dall’ingegnere americano F. W. Taylor (1856 – 1915) e messa in pratica da H. Ford (1863 -1947) nei suoi stabilimenti ed è per questo che si parla di taylorismo – fordismo. Il mondo del lavoro vide crearsi ed acuirsi sempre di più una spaccatura tra i lavoratori, tra i cosiddetti colletti blu, simbolo della classe operaia, e i colletti bianchi, i burocrati. La nuova organizzazione del lavoro determinò anche una minore richiesta di operai specializzati, sostituiti da operai comuni. Si sviluppò il settore terziario, vale a dire quel settore dell’economia in cui si forniscono servizi.

Furono queste le condizioni che favorirono il «boom» americano: gli anni ‘20 in USA furono caratterizzati da un’evidente crescita economica, motivo per cui furono definiti anni «ruggenti». Aumentò la produzione di acciaio, energia elettrica, petrolio, case, beni di consumo e beni durevoli, furono gli anni della centralità del settore automobilistico, della diffusione della radio, dei grattacieli e del voto alle donne, anni caratterizzati dal liberismo economico e dall’abbandono di ogni forma di controllo su attività finanziarie e borsistiche.

 

Era comunque l’America dei contrasti, delle luci e delle ombre, quelle rappresentate da un clima politico conservatore, dalla chiusura nei confronti dell’Europa, dalla riduzione dell’immigrazione e dalla paura dei comunisti «Red scare», con la pericolosa componente della diffusione di movimenti filofascisti o razzisti come il Ku klux klan. A testimonianza di questo clima conservatore citiamo la condanna, nel 1925, di un docente, Scopes, reo di aver insegnato le teorie di Darwin. Una società ricca, insomma, nella quale ci fu il proibizionismo, una società che intollerante nei confronti degli stranieri: il processo e la condanna, ingiusta, dei due anarchici italiani Sacco e Vanzetti era solo la punta dell’iceberg di una società dalle profonde contraddizioni che esplosero con conseguenze devastanti con la Crisi del ‘29.