Kant: l’isola della conoscenza

oceano-tempestoNel capitolo conclusivo dell’Analitica trascendentale Kant scrive: “Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro, esaminandone con cura ogni parte: ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili“. E’ così che Kant descrive la realtà fenomenica (ciò che appare), l’unica conoscibile dall’intelletto umano, quella che lui stesso definisce “la terra della verità (nome allettatore)”, circondata da un vasto oceano tempestoso….“. A cosa si riferisce Kant quando parla di oceano tempestoso? Al noumeno, alla realtà così come è, che l’uomo non può conoscere, ma alla quale “egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo“. Un testo poetico, quasi romantico, nel quale Kant riesce con forza a stabilire la stato reale dell’uomo, combattuto dalla sicurezza di ciò che può conoscere con certezza,  l’isola appunto, e ciò che lo attira senza poter essere conosciuto, il mare tempestoso, l’IGNOTO, il noumeno. “Le regole dell’intelletto (N.D.R. Spazio – Tempo – categorie), contengono il FONDAMENTO della possibilità dell’esperienza, come complesso di ogni conoscenza in cui gli oggetti posso esserci dati, tuttavia non ci sembra sufficiente esporre quello che è vero, ma quello altresì che si desidera sapere“. L’uomo non si accontenta per natura di ciò che può conoscere con certezza, non si arrende di fronte i limiti delle sue possibilità conoscitive (le regole dell’intelletto) e si avventura inevitabilmente verso l’ignoto, verso ciò che desidera, ciò che vorrebbe conoscere pur senza averne gli strumenti. Forse con un po’ di coraggio e di forzatura, rivedo in questo passo il contrasto tra esprit de finesse ed esprit de géométrie di Blaise Pascal, che non si accontentò delle certezze del modello matematico per rivendicare qualcosa di pìù, le ragioni di cuore. Pascal oppone alla ragione deduttiva quella che chiama “comprensione istintiva” o “cuore”, ovvero quel tipo di comprensione che coglie gli aspetti più problematici della condizione umana. L’opposizione tra ragione e cuore viene anche, nell’opera pascaliana, espressa col binomio tra esprit de géométrie, che ha per oggetto gli enti astratti e gli oggetti esteriori, e l’esprit de finesse, che ha per oggetto l’uomo e che, tramite l’intuito, visualizza subito l’oggetto indagato senza dover passare dal ragionamento.Dal punto di vista di Kant il noumeno è inconoscibile, ma rappresenta il mondo vero e anche se è inconoscibile non è possibile tacerne. In altre occasioni Kant parlerà di “ragionevole speranza” a proposito di ciò che non è conoscibile. Resta comunque fondamentale per l’intelletto “determinare a se stesso e sapere i limiti del suo uso, ciò che può trovarsi al di dentro o al di fuori di tutta la sua sfera“. E’ importante per l’uomo conoscere i limiti delle proprie possibilità conoscitive poiché, superati questi, “non è mai sicuro de’ suoi diritti del suo possesso, ma deve attendersi soltanto frequenti e umilianti richiami, quand’egli oltrepassi (com’è inevitabili) continuamente i confini del suo possedimento, e si smarrisca in illusioni e chimere“. Trovo molto interessante questo richiamo all’INEVITABILITA’ dell’avventurarsi dell’uomo oltre i propri limiti conoscitivi, il desidero dell’ignoto, dell’oltrepassare, dell’andare oltre pur sapendo di avventurarsi in un oceano tempestoso, smarrendosi in “illusioni e chimere“. Per i contemporanei di Kant, l’affermazione di un noumeno inconoscibile, del quale però si affermava l’esistenza, appariva contraddittoria. Sarà Fichte a sciogliere questa contraddizione negando l’esistenza del noumeno e identificando la realtà in sé con quella prodotta dal soggetto, mentre Schopenhauer squarcerà il “Velo di Maya” rappresentato dalla realtà fenomenica, accedendo alla realtà noumenica vista come VOLONTA’.

Cosimo Lamanna