Platone, il Fedone e la “seconda navigazione”

Particolare di un’opera di Gianni Comes

Io, o Cebete, da giovane nutrii un desiderio vivissimo di possedere quella scienza che chiamiamo “indagine sulla natura. Infatti mi sembrava una cosa straordinaria sapere quali sono le cause di ciascuna cosa, ossia sapere perché ciascuna cosa si genera, perché si corrompe e perché esiste”. Il passo appena letto è tratto dal Fedone Il Fedone, uno dei più celebri dialoghi di Platone. Ultimo dialogo della prima tetralogia di Trasillo, sembrerebbe un dialogo giovanile del filosofo, anche in considerazione del contesto in cui si svolge (la morte di Socrate). Lo studio stilistico dell’opera, tuttavia, più narrativa che dialogica, motiva alcuni studiosi ad assegnare l’opera al periodo della maturità. Nel dialogo, in cui è centrale il tema dell’immortalità dell’anima, Platone affronta anche la tematica della seconda navigazione che lo ha portato alla scoperta delle vere cause delle cose. Ma che cos’è? Si tratta di una metafora desunta dal linguaggio marinaresco ed indica quella navigazione che si intraprende quando calano i venti e non potendo navigare con le vele (la prima navigazione), la nave rimane ferma. In tale circostanza si deve porre mano ai remi, e in tal modo, con la forza delle braccia, si esce dalla situazione prodotta dalla bonaccia. Con la prima navigazione Platone indica la ricerca filosofica condotta dai filosofi naturalisti che avevano sentito l’esigenza di ricercare il principio primo delle cose, ma la loro ricerca si era fermata nel mondo fisico e da qui nasce la delusione manifestata da Socrate nel dialogo. “Ma un giorno – dice Socrate – udii un tale leggere un libro, che affermava essere di Anassagora, il quale diceva che l’Intelligenza, il Nous, ordina e causa tutte le cose”.  Tra i naturalisti, quindi, ad Anassagora viene riconosciuto il merito di aver intuito qualcosa, ma di non aver dato corso alla sua intuizione: “Ma da questa meravigliosa speranza – continua Socrate – o amico, venivo portato via, perché, mentre procedevo nella lettura del libro, vedevo che il nostro uomo (Anassagora) non si serviva affatto dell’Intelligenza e non le attribuiva alcun ruolo di causa nella spiegazione, dell’ordinamento delle cose e attribuiva, invece, il ruolo di causa all’aria, all’etere, all’acqua e a molte altre cose estranee all’Intelligenza”. Insomma, anche Anassagora non si era allontanato dal mondo fisico e di conseguenza aveva deluso le aspettative di Socrate. E qui scatta la seconda navigazione, quella metafisica (ovvero tutto quello che va oltre la fisica), che porta il filosofo a contatto con le vere cause di ciò che esiste, le idee, le forme, i modelli incorruttibili, non le cose belle ma il bello in sé: “partendo dal postulato che esista un bello in sé e per sé, un buono in sé e per sé, un grande in sé e per sé, e così via. Ora, se tu mi concedi e convieni che esistano veramente queste realtà, spero, partendo da queste di mostrarvi quale sia quella causa e di scoprire perché l’anima è immortale”. La seconda navigazione comporta la rinuncia a esaminare gli enti o le cose che sono. Socrate giustifica la sua scelta con una analogia: “per osservare il sole durante un’eclissi senza danneggiarsi gli occhi è consigliabile non guardarlo direttamente, ma fissarne l’immagine riflessa nell’acqua”; similmente, l’anima si accecherebbe se guardasse direttamente le cose con gli occhi o con un altro dei sensi: è meglio considerare la verità di ciò che è tramite le rappresentazioni razionali i cosiddetti logoi. Le idee, tuttavia, non sono un prodotto della mente, secondo Platone, ma realtà esistenti, anzi le vere realtà, delle quali il mondo sensibile non è altro che un pallido riflesso e conclude “nessun’altra ragione fa essere quella cosa bella, se non la presenza o la comunanza di quel bello in sé …”. La seconda navigazione, quindi, quella che comporta “l’uso dei remi” e pertanto implica uno sforzo maggiore da parte dell’individuo e un suo coinvolgimento personale, porta quest’ultimo a contatto con la vera realtà, l’Iperuranio. Con questo testo Platone vuole comunicarci che per ogni evento esistono due tipi di spiegazioni diverse: da un lato quella basata sulla causalità meccanica, dall’altro le cause finali. Alla domanda perché una cosa è bella? Per il colore, per la forma di cui è fatta? No, una cosa è bella poiché partecipa al bello in sé e quindi all’idea di bellezza. Il tema della partecipazione sarà ripreso in periodo medievale da Tommaso d’Aquino a proposito del rapporto tra Dio e l’uomo.