Il problema della conoscenza nell’empirismo di J. Locke

lockeJ. Locke (Wrington, 29 agosto 1632 – High Laver, 28 ottobre 1704), filosofo, medico, economista e politico, è tradizionalmente considerato il fondatore dell’EMPIRISMO inglese, anche se ha un importante predecessore in Francesco Bacone. L’empirismo è una corrente filosofica secondo la quale tutte le idee hanno come FONTE l’esperienza che diventa nel contempo anche criterio di verità; Ne consegue che non esistono idee innate, così come sosteneva Cartesio e Platone, ad esempio “poiché se esistessero – osserva Locke – tutti ne sarebbero egualmente dotati: bambini, soggetti con ritardo mentale e selvaggi”, ma l’esperienza ci insegna che le cose non stanno così. Ma individuare le fonti della conoscenza non è sufficiente, occorre ormai anche determinare l’ambito del conoscibile, cosa che Locke fa nel “Saggio sull’intelligenza umana” (libro I,1, parr. 6-7, vol. I, pp. 24 -26) laddove scrive “Dobbiamo contentarci delle scoperte che possiamo fare per mezzo di questa luce (n.d.r. quella della candela metafora dell’intelletto). Faremo sempre buon uso della nostra intelligenza se consideriamo tutti gli oggetti nella maniera e proporzione in cui essi sono adatti alle nostre facoltà ….”. Nell’opera in questione il filosofo sostiene che l’intelletto non può conoscere tutto e occorre, quindi, delimitarne l’ambito, i limiti e le possibilità. L’intelletto è paragonato alla luce di una candela che non rischiara tutta la stanza, ma che comunque è in grado di farci compiere alcune attività. La tematica dei limiti dell’intelletto sarà sviluppata egregiamente da Kant nella Critica della Ragion Pura. Considerare i limiti dell’intelletto, inoltre, significa per Locke da un lato abbandonare la presunzione di conoscere la vera essenza delle cose e dall’altro lo scetticismo conoscitivo che potrebbe renderci passivi o peggio indurci a rinunciare alla conoscenza. Il problema della conoscenza, quindi, viene affrontato da Locke con un metodo “critico”: prima di qualunque indagine occorre un esame delle facoltà conoscitive dell’uomo, per fissarne i limiti ma anche le possibilità: “Quando avremo conosciuto le nostre forze – afferma – conosceremo anche tanto meglio ciò che potremo intraprendere con speranza di successo..”. L’empirismo, inoltre, mette in discussione la possibilità di una conoscenza oggettiva, perché? La conoscenza si basa sull’esperienza e, quindi, sulle sensazioni che dipendono dal soggetto. I cinque sensi che Platone aveva tanto criticato, rappresentano il nostro mezzo di contatto con la realtà esterna della quale percepiamo soltanto l’apparenza, il cosiddetto aspetto fenomenico e non saremo mai in grado di dire quanto di quello che percepiamo dipenda da noi e quanto invece sia di pertinenza dell’oggetto. Si sta lentamente delineando il percorso che porterà alla cosiddetta Rivoluzione Copernicana in Kant, cioè il definitivo spostamento del fulcro conoscitivo dall’oggetto da conoscere al soggetto conoscente. Se i nostri organi di senso fossero diversi, la nostra idea di mondo cambierebbe. Dai sensi derivano direttamente quelle che Locke chiama le idee semplici, vale a dire quelle che si ottengono senza alcuna attività del soggetto. Le idee semplici a loro volta sono suddivise a seconda della loro origine: quelle ottenute da un solo senso, ad esempio, come l’idea di solidità che deriva dal tatto, e quelle ottenute con il concorso di più sensi, come ad esempio quella di estensione, movimento, quelle infine ottenute con la riflessione (pensare, volere) e quelle derivate da sensazione e riflessione (piacere, dolore, ecc.). Altro aspetto interessante della riflessione di Locke è quello riguardante le qualità primarie e quelle secondarie, molto affine a quella sviluppata da Democrito: esistono, ad avviso di Locke, delle qualità strettamente correlate all’oggetto, come l’estensione, ed altre, invece, che dipendono dai nostri sensi, come i sapori. Tra le idee complesse vi è quella di causa in base alla quale la mente tende a stabilire un legame, un’unione, una relazione tra due idee. Inevitabile l’approdo all’idea di sostanza, un’idea oscura che non possiamo conoscere, ma possiamo solo percepire, quello che per Kant diventerà il noumeno, cioè la vera essenza del reale. Come nasce, secondo Locke, l’idea di sostanza? La mente unisce più idee semplici, vale a dire quelle che passivamente si formano nella nostra mente per mezzo della sola esperienza, formando un’unica idea complessa alla quale da un nome, la sostanza appunto, ipotizzando l’esistenza di un sostrato: “Poiché, come ho già spiegato, la mente è provvista di un gran numero di idee semplici, che le vengono recate dai sensi così come si trovano nelle cose esterne, o dalla riflessione sulle proprie operazioni, essa osserva che un certo numero di queste idee semplici vanno costantemente assieme …” La mente, pertanto, finisce per riunire queste idee semplici in una sola, la sostanza appunto. Anche l’idea di Dio deriva da idee semplici, unite all’idea di perfezione e di infinità. Immaginiamo una conoscenza doppia della nostra, poi quadrupla, ecc. fino a formare l’idea di onniscienza, per poi attribuire tutte queste idee ad una sostanza che diventerà l’essere perfettissimo. L’empirismo di Locke, tuttavia, pur ponendone le premesse, non giungerà agli esiti radicali di quello di Hume i cui esiti scettici rappresenteranno un interessante punto di partenza per il pensiero kantiano.

Cosimo Lamanna