Kant: i limiti della conoscenza umana e la nascita della “Critica della Ragion Pura”

La riflessione filosofica di Kant, rappresenta un vero e proprio crocevia per il pensiero moderno, in quanto momento di sintesi delle riflessioni precedenti e motore per lo sviluppo di quelle successive. Non si potrà fare a meno del confronto con la filosofia kantiana, anche in termini di dissenso, perché Kant riformò radicalmente il modo di intendere la conoscenza, la morale e l’estetica e il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Ma andiamo per gradi: Kant nasce a Konigsberg, capitale della Prussia orientale, oggi Kaliningrad, in una famiglia seguace del pietismo e quindi riceve una rigida educazione religiosa. Di lui si racconta la sua straordinaria precisione anche in termini temporali e in campo di abitudini. Si racconta, anche, che un giorno non riuscì a fare lezione poiché distratto da uno studente che indossava una giacca senza un bottone.

Aneddoti a parte, dai quali comunque si possono avere interessanti indicazioni sulla personalità del filosofo, cosa che probabilmente influenzò anche la sua filosofia, Kant dovette confrontarsi con due grandi correnti filosofiche diffuse a quel tempo, vale a dire il razionalismo e l’empirismo che, riguardo all’origine della conoscenza avevano visioni diverse e completamente opposte. Il razionalismo di matrice cartesiana, infatti, sosteneva l’esistenza delle idee innate e la preminenza della ragione rispetto all’esperienza in campo conoscitivo. L’empirismo, invece, che aveva visto il Locke il suo padre fondatore e uno degli esponenti più noti, riteneva che l’esperienza fosse fondamentale per la conoscenza umana e considerava la mente umana una tabula rasa. Rispetto a queste due posizioni antagoniste, Kant dimostrò da subito la novità del suo pensiero, estraneo ad ogni forma di radicalismo e ritenendo che ci fosse del vero sia nell’una che nell’altra.

Per una questione di organizzazione espositiva, solitamente si divide il pensiero kantiano in due momenti, la fase pre-critica e la fase critica, considerando la redazione della Critica della Ragion Pura, una delle sue opere più famose, come lo spartiacque ideale, ma una data importante nella formazione del suo pensiero fu il 1769, data in cui Kant viene colpito da quella che lui stesso definì “la grande luce”, che gli fa scoprire la funzione a priori dello spazio e del tempo e gli fa scrivere la dissertazione del 1770 dal titolo La forma e i princìpi  del mondo sensibile e del mondo intelligibile. Cosa aveva scoperto di così importante Kant? Il filosofo tedesco stava lentamente distinguendo i limiti della conoscenza umana, individuando nello spazio e nel tempo strutture a priori della nostra conoscenza. Ma cosa significa a priori? Significa che lo spazio e il tempo precedono l’esperienza sensibile e la condizionano, sono pertanto modi di relazionarsi al mondo esterno del soggetto e come tali strutture trascendentali: «chiamo trascendentale – scriverà Kant nella Critica della Ragion Pura – ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori».

Nel 1781 appare finalmente la Critica della Ragion Pura, che sarà poi ripubblicata nel 1787. In quest’opera Kant dimostrerà che la metafisica non è possibile come scienza, perché? Perché la ragione umana tende ad andare oltre i limiti dell’esperienza sensibile, cioè lo spazio e il tempo, per cercare di trovare l’incondizionato, ma qui si imbatterà il un “oceano tempestoso” nel quale ogni forma di conoscenza si rivelerà illusoria. Per farla breve Kant dice chiaramente che se la nostra ragione si spinge al di là del sensibile, non può pretendere di ottenerne delle conoscenze. Della realtà infatti, possiamo conoscere soltanto l’aspetto fenomenico, cioè la cosa così come ci appare, mentre resta assolutamente inconoscibile la realtà in sé, che Kant chiama noumeno.

La distinzione tra fenomeno e noumeno è fondamentale e rappresenterà il punto di partenza della filosofia irrazionale di Schopenhauer. La realtà esterna, quindi, attraverso i cinque sensi viene data, filtrata attraverso le forme a priori di spazio e tempo, ma non è ancora conoscenza dell’oggetto, poiché necessita di altri importanti passaggi. Nel frattempo Kant ha spostato l’asse della conoscenza dall’oggetto conosciuto, che non saprò mai com’è fatto realmente, al soggetto conoscente, del quale invece devo e posso sapere come funziona il processo conoscitivo.

E’ questa la famosa rivoluzione copernicana del conoscere, come Copernico aveva spostato il centro del sistema solare dalla terra al sole, così Kant sposta il fulcro della conoscenza dall’oggetto da conoscere al soggetto conoscente, concetto che nei suoi sviluppi successivi darà vita all’idealismo tedesco. <<Per una volta – scrive Kant – si tenti di vedere se non possiamo forse adempiere meglio ai compiti della metafisica, ammettendo che siano gli oggetti a doversi regolare sulla nostra conoscenza …>>.

E’ fuor di dubbio che tutte le nostre conoscenze cominciano con l’esperienza, ma è altrettanto vero che non tutta la nostra conoscenza deriva dall’esperienza: bisogna quindi distinguere tra conoscenze empiriche e conoscenze a priori. Ma quando Kant parla di elementi puri della conoscenza non si riferisce a semplice astrazione di concetti, ma pensa proprio che vi siano nella nostra mente delle intuizioni a priori che rendono possibile l’acquisizione degli oggetti e le chiama forme priori (spazio e tempo appunto). Per capire se la metafisica possa essere considerata una scienza, Kant si sofferma sui giudizi.

CONOSCERE significa formulare giudizi, vale a dire mettere insieme un soggetto con un predicato, ma non tutti i giudizi sono uguali, ve ne sono di tre tipi: il giudizio analitico è quel genere di giudizio nel quale quello che è asserito nel predicato è già implicitamente contenuto nel concetto del soggetto. Un esempio è il seguente: il triangolo ha tre lati. L’avere tre lati è caratteristica già implicitamente contenuta nell’essere triangolo. Questo giudizi sono a priori, nel senso che per formularli non abbiamo necessità di dipendere dall’esperienza, e sono universali e necessari. Nella Critica della Ragion Pura, Kant distingue tre facoltà dell’uomo: la sensibilità, vale a dire quella facoltà con la quale gli oggetti “ci sono dati”, l’intelletto è quella facoltà con la quale organizziamo questi dati, e infine la ragione è quella facoltà con la quale tentiamo di guardare oltre il mondo dell’esperienza.

Nella sezione della Critica intitolata Estetica Trascendentale, la conoscenza si configura come una sintesi dei dati ottenuti dal mondo dell’esperienza e delle forme a priori in possesso del soggetto conoscente. Si costituisce così un campo comune a tutti gli uomini perché comuni sono i criteri, le forme, di organizzazione del sapere. Ciò significa che gli uomini, pur non potendo conoscere la realtà in sé, hanno in ogni caso la garanzia di conoscere allo stesso modo il mondo fenomenico, poiché siamo dotati di forme a priori identiche. Il processo conoscitivo non finisce con la sistemazione dei dati della sensibilità nelle forme a priori di spazio e tempo, poiché ora entrano in gioco le categorie e lo schematismo trascendentale. Con la dottrina dello schematismo trascendentale Kant abbina a ogni categoria aristotelica (quantità, qualità, etc.) una forma spazio-temporale.

Va precisato a proposito che le categorie kantiane, a differenza di quelle aristoteliche, non appartengono al mondo esterno, ma sono leggi della mente che il soggetto utilizza per ordinare il mondo. Ma che cos’è uno schema trascendentale? Per comprendere che cos’è uno schema trascendentale facciamo il seguente esempio: quando mi rappresento un cane, ho una semplice immagine, ma quando considero questa, spogliandola di certe sue peculiarità (razza, colore, taglia, ecc.), e la utilizzo come raffigurazione di un quadrupede in generale, ottengo uno “schema”. Elaborata la tavola delle categorie, Kant si pone un problema di fondo, quello della giustificazione della loro validità o, come lui stesso dice, della deduzione trascendentale delle categorie.

Argomento fondamentale della deduzione è che ogni cosa, per essere conosciuta dal soggetto, deve conformarsi ai suoi modi di conoscere le cose, alle sue forme e strutture. L’unificazione o sintesi compiuta dall’intelletto è il prodotto di una funzione suprema mediante la quale tutte le rappresentazioni sono ricondotte all’unità: l’“Io penso”. Solo così può costituirsi l’esperienza come un tutto unitario e coerente. L’Io penso, quindi, deve essere inteso sia come principio di unificazione del molteplice, sia come unità del soggetto conoscente (unità originaria o coscienza) antecedente ai singoli atti di unificazione dell’esperienza. Principio di ogni sintesi conoscitiva, accompagna tutte le nostre rappresentazioni, è l’unità della coscienza che fonda la validità oggettiva delle nostre rappresentazioni ed è appercezione pura, cioè autocoscienza o unità del pensare in generale. Nel capitolo conclusivo dell’Analitica trascendentale Kant scrive: “Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro, esaminandone con cura ogni parte: ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili”.

Definiti i limiti della conoscenza resta da risolvere un altro punto, l’ultimo della Critica della Ragion Pura, ovvero l’infinito desiderio dell’uomo di andare oltre questi limiti. Certamente non si può impedire all’uomo di farlo, ma cosa succede quando decide di avventurarsi oltre i propri limiti intellettuali? la trattazione di questa tematica è dedicata la Dialettica trascendentale. Kant indica nella ragione la terza facoltà conoscitiva dopo la sensibilità e l’intelletto. La ragione è il pensiero che si applica a ciò che trascende l’esperienza, i noumeni, i quali pur essendo inattingibili, sono per noi la meta più alta e importante. Oltrepassando i limiti dell’esperienza, la ragione si illude di accedere all’ambito metafisico. Kant chiama questa tendenza della ragione, spontanea quanto ingannevole, parvenza trascendentale.

Da questa esigenza della ragione di oltrepassare i confini dell’esperienza e di afferrare la totalità dei fenomeni, nasce la dialettica della ragione. Come l’intelletto anche la ragione ha carattere di spontaneità, ma si avvale di idee invece che di concetti (o categorie) e di sillogismi invece che di giudizi. Davanti alla concatenazione di cause che costituisce una certa realtà, la ragione tenta di risalire alla causa ultima (cioè la condizione dei fenomeni non condizionata da altro: all’incondizionato) attraverso le tre idee del mondo come totalità dei fenomeni, dell’anima come sostanza eterna e incorruttibile e di Dio come ente perfetto, necessariamente esistente.

Quindi la dialettica trascendentale si occupa della critica di questa illusione, nella quale la ragione fa un uso trascendente e non trascendentale delle categorie e dell’Io penso, scambiando per proprietà delle cose delle esigenze fondamentali del pensiero. La dialettica trascendentale è dunque una critica dell’intelletto e della ragione nel suo uso iperfisico. Kant mostra come l’illusione di conoscere il mondo come totalità delle condizioni dia luogo ad antinomie, vale a dire quattro coppie di proposizioni opposte (due matematiche e due dinamiche) di cui è impossibile dimostrare la verità.

Questo spingersi al di là dell’esperienza possibile non è una vacua curiosità, Né qualcosa di illecito, ma è qualcosa di strutturale e ineliminabile. La ragione è la facoltà metafisica, ma la metafisica non è scienza. E’ importante per l’uomo conoscere i limiti delle proprie possibilità conoscitive poiché, superati questi, “non è mai sicuro de’ suoi diritti del suo possesso, ma deve attendersi soltanto frequenti e umilianti richiami, quand’egli oltrepassi (com’è inevitabili) continuamente i confini del suo possedimento, e si smarrisca in illusioni e chimere”. La distinzione tra intelletto e ragione, fornirà ai romantici l’arma principale per dissolvere l’illuminismo e per costruire una nuova metafisica.

Cosimo Lamanna