L’infinito leopardiano e il noumeno kantiano

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

L’uomo, pur nelle certezze della ragione, sente sempre l’esigenza di avventurarsi oltre i limiti delle proprie capacità conoscitive. La siepe di Leopardi può essere interpretata come il mondo fenomenico kantiano entro il quale la conoscenza umana è confinata. Però il pensier s’annega, giustamente, in quella realtà noumenica inconoscibile ma che, nello stesso tempo, rappresenta il dolce naufragar del pensiero che non può fare a meno di porsi alcune imprescindibili domande ….